Schiere di angeli iranici
Giulio Busi
Dal «grande angelo nero, fuligginoso» di Montale, a quello «vestito di panni d'un viola azzurro, cinto di cordoni d'oro, con vaste ali bianche dal fulgore di seta», che spicca il volo verso Franz Kafka, e fino agli angeli di Rilke, con «stanche bocche» e «anime senza contorni», gli esseri celesti si muovono attraverso il XX secolo furtivi e imprendibili, incuranti delle due guerre mondiali, delle ideologie, e della conclamata morte del divino. Raramente si occupano della Storia, perlopiù continuano il loro mestiere vecchio di millenni, messaggeri troppo umani del l'aldilà, aureolati d'inquietudine.
Ma forse nessun autore del secolo scorso ha saputo evocare l'antico mistero degli spiriti immateriali come Henry Corbin, filosofo e orientalista dalla prosa incalzante e ammaliatrice. Grazie a Corbin, nella cultura europea irrompe l'angeologia iranica. Richiamati in vita dalle antiche pagine dei magi zoroastriani o degli gnostici sciti, gli spiriti messi in scena da Corbin sorprendono il lettore occidentale con costumi e compiti in gran parte diversi da quelli dei loro colleghi biblici. Se nella tradizione ebraica i mal'akim, gli angeli, sono umili servitori del Dio trascendente, esecutori di ordini altrui, gli angeli venuti dall'Iran hanno dignità propria, sono principi conoscitivi, modelli di una compiutezza non solo sovrumana ma addirittura sovradivina.
Il repertorio angelico di Corbin si arricchisce ora di un inedito, tratto dall'archivio del grande studioso conservato a Parigi, e pubblicato nella raffinata traduzione di Raphael Ebgi. Le combat pour l'ange fu composto nel 1950, un anno dopo la stampa del Mito dell'eterno ritorno di Mircea Eliade. E in effetti, il testo corbiniano deve molto alla lezione di Eliade, e al concetto di sacro come liberazione dall'ansia della storia. Non importa, sostiene Corbin, che i dati storici e geografici su Zarathustra siano contraddittori e confusi, e che l'emergere dello zoroastrismo resti avvolto in un alone mitico. Quello che conta è riuscire a interpretare questi racconti come altrettante tappe di una «ierofania». La particolare ierofania zoroastriana si può riassumere, secondo Corbin, in un insegnamento fondamentale: ogni livello di essere ha un proprio angelo, ovvero è chiamato a un grado superiore di perfezione, ad angelicarsi nella luce della propria completezza. Una nostalgia di perfezione, venuta come i magi dal l'Oriente, che non poteva non affascinare il Novecento europeo.
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Henry Corbin, Le Combat pour l'Ange (Ricerche sulla filosofia mazdea), a cura di Raphael Ebgi, Torre d'Ercole, Travagliato, pagg. 148, € 24,00
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